Benvenuti nel blog della rivista Fatti e Pensieri.

“Una notte, una vita”, lotte e amori nel nuovo romanzo di Mario Caccavale

Una notte accanto a una donna rincorsa tutta la vita. Hella ha il volto del mistero, Tommaso quello dell'incompiuto che brucia la carne. Il nuovo romanzo dello scrittore Mario Caccavale, 'Una notte, una vita' (Mondadori, pp. 155, euro 19), è un viaggio in quelle attese che ritmano ricerche senza fine. Il dialogo di due persone che per poche ore dopo una vita, riescono finalmente a guardarsi negli occhi, stana tracce penultime su vita e morte, fede e dubbio, verità e destino.

La donna che ha accompagnato tutta la storia di Tommaso non ama le parole ma sa porre le domande giuste, costringendolo a rileggere il suo percorso davanti a gambe rimaste sempre più in là del suo desiderio. ''Agli appuntamenti sono sempre in anticipo e nell'attesa penso negativo. Hella è un mistero, e con i misteri tutto è possibile'', dice il protagonista del romanzo, un ragazzo che diventa un giornalista famoso e poi presidente di una fondazione scientifica. E' stata ancora lei, Hella, a scegliere l'ora e il posto dell'incontro. Perché la vita comincia e cambia, sempre, con un incontro. La donna arriva con una jeep e il fascino di una storia che nessuno conosce. C'è un segreto da cogliere in quegli occhi neri, incastonati nel pallore di un viso che sembra sfuggire al gioco del tempo. Vestita interamente di bianco, abita un silenzio che è più eccitante di qualsiasi discorso, perché ''sono le parole non dette a sedurci''. Hella sa frugare nel cuore di Tommaso e inchiodarlo al poco che ha trovato, ravanando nella carne delle sue lotte. Lei ''è il mare e la macchia, la mia passione e il fondo opaco della mia anima''. Dosa pazienze e sguardi mentre il rosso di Conero miscela i ricordi, svegliati nell'eremo di Torrida. Ci sono donne che nascono con noi e abitano i nostri pensieri per tutta un'esistenza. A volte fanno domande cui non daremo risposta, per orgoglio o pietà. Ma non siamo noi che invochiamo il passato, è lui che ci rincorre e ci chiede di saldare, prima o poi, i conti con le nostre scommesse di senso.

A fare da quinta al romanzo è la Roma bombardata, poi occupata e liberata, del secondo Novecento. La città eterna degli occhi tristi e dei buchi nello stomaco. Sono le strade di una guerra che è finita, ''e ora dobbiamo vedercela con la pace. Nessuno si chiedeva dove nascesse il sole che tramontava da noi. La pace aveva sedotto tutti, nel palazzo, tranne mio padre. E tutti credevano a tutto, cioè a niente''.

Con la sua scrittura asciutta, venata di pensiero, anche in queste pagine il narratore Caccavale conduce il lettore in un gioco di specchi, come ci aveva abituato ne 'Il gioco dell'Ombra' (Marsilio) e 'Piano inclinato' (Mondadori). Ma 'Una notte, una vita' è anche un viaggio tra personaggi. Come la 'sora Iolanda', l'usuraia del quartiere che col culone copriva la sedia-ufficio davanti alla palazzina in cui abitava. Quella megera amava tutti gli animali, tranne gli uomini. ''Iolanda divorava due cose: l'aria e i soldi. L'aria la rilasciava piegandosi da una parte sulla sedia, i soldi li infilava nel reggiseno''. Una notte la trovarono col coltello piantato in un fianco, neanche i suoi cani avevano abbaiato all'assassino. Il palazzo di Tommaso era chiamato lo 'sfilatino', tanto era secco e lungo. Lì abitava la sua ricerca e la sua memoria. In un villino accanto c'era Hella, 'lei' come la chiamavano nel quartiere, la donna sempre sola. Davanti al camino guarda in modo strano le fiamme mentre Rosa, un'amica della madre del ragazzo, muore. Tommaso spia quella donna strana, la immagina dietro le finestre chiuse, la vede partire il sabato mattina con la sua Balilla, sfidando le bombe, nessuno sapeva dove fosse diretta o perché. Nello scantinato-ricovero, quando i caccia facevano piovere bombe sulla città, Hella se ne stava da una parte, avvolta nella vestaglia di lana bianca. In quelle notti, mentre il 'ragionier Giacalone' sputava sentenze, a metà tra lo iettatore e il trovarobe di luoghi comuni, la donna aveva invece imparato a vedere l'alba dentro l'imbrunire. Il segreto della sua bocca chiusa, per Tommaso era il punto sullo sfondo. Si cresce nella striscia che corre tra Eros e Madame Noire. La fine tragica dei due gemelli Santuccio, fa diventare adulti d'un colpo mentre si è ancora sui banchi di scuola. Non basta la 'cassetta degli attrezzi' del filosofo Pascucci per riparare le crepe dei dubbi, né valgono le ricette pietistiche di don Romano, che invita a stare svegli per attendere il ritorno di Dio fra le contraddizioni della percorrenza. ''Ma io non credevo al Padrone. Come potevo attenderlo?''. E poi c'è un'altra verità che affiora quando la realtà fa masticare amaro: ''A noi mediterranei le cose semplici non piacciono. A noi piace la filigrana, i retropensieri''. Ci piacciono le idee, ci innamoriamo delle eresie necessarie. Stiamo insieme senza conoscerci, ce ne andiamo senza salutare. Passano gli anni e si parla di politica durante una cena, mentre sul Tevere scivola una zattera piena di pantegane. Scorrono sull'acqua, come le domande inevase. ''La memoria è fedele, non ci lascia e quasi ci sorveglia da dietro le sbarre''.

''Nei momenti cruciali si è soli sempre'', a cercare risposte o a darsi idee e patrie, come fa il 'Barba', l'enigmatico barbone che compilava la sua 'Gazzetta' con un collage di titoli e testi di giornali raccolti nei cestini dei rifiuti. Lo scatolone in cui dormiva era la sua 'patria'. Un'alba se lo portò via la benzina, insieme al suo inquilino, ''e io che pur ho vissuto di parole, non ho mai saputo trovare i sostantivi e soprattutto gli aggettivi giusti per scuotere chi ama più le radici che l'albero''. In fondo ''giornalisti e lettori si accontentano di poco. Di parole che suonino bene''. Forse ha ragione la madre di Tommaso a ripetere che ''le cose che hanno la coda lunga sono serpenti'', e non ha torto neanche il cinico editore Carmelo Malagò, che a due passi dalla morte spiega che il nostro pianeta è ormai ''un ipermercato. Dove si acquista e si vende tutto, tranne il sapere dei veggenti''. Il vecchio Eusebio, l'erede del Matto, che abita la pietra piena di segreti della sua Lucania, custodisce un biglietto che dice: ''Siamo soli davanti al camino, non riusciamo a domare il fuoco''.

Per Tommaso, come per l'autore del romanzo, la strada è stata una scuola di vita: ''Lì, tra bottegai e gente che viveva d'espedienti, avevo ricevuto lezioni''. La storia è alchimia, un cercare che non fa sconti. Non importa se il prologo sia durato tutta una vita e l'epilogo solo una notte a Torrida. Ciò che vale è l'aver preso quel sentiero di curve, Restano gli occhi di Hella, il riflettere sul proprio vissuto lasciandosi inquietare sull'amicizia o su Dio, lanciando uno sguardo senza nostalgia agli amori raggiunti o persi ai bivi delle scelte. ''Ma la verità è maleducata'', scrive Caccavale. E riserverà sorprese fino all'ultima pagina. Perché la vita è movimento e cammino senza sosta. Anche per il lettore torna una domanda di questo romanzo: ''Ma noi, papà, con chi stiamo?''. (Adnkronos)