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La Vespa e il cinema, un matrimonio straordinario

di Cristiano Camera


"Un matrimonio straordinario, incredibilmente felice e intenso, indissolubile nei decenni, capace di rinnovarsi continuamente e di creare emozioni ad ogni latitudine": non stiamo parlando del rapporto fra un uomo e una donna, ma di quello fra la Vespa e il cinema. Roberto Colaninno lo descrive così nelle pagine introduttive del volume 'La Vespa e il Cinema', realizzato in occasione della mostra omonima che si è tenuta a Pontedera. Parole piene di passione, quelle del presidente del Gruppo Piaggio, e che, benché autorevoli, sono quelle dette soltanto da uno fra le tante persone nel mondo che hanno amato lo scooter italiano. Sfogliare pagina dopo pagina il catalogo è come compiere un viaggio tra film, pubblicità, locandine e fotografie che hanno come protagonista un mito che, dopo sessant'anni di vita, "resta ancora oggi aggiunge Colaninno - il simbolo della creatività italiana e un esempio unico di 'immortalità' nella storia del design industriale. Vespa non appartiene più soltanto al mondo della mobilità: è la storia di un fenomeno-simbolo del costume globale". Insomma, la Vespa non solo è uno dei simboli del Made in Italy, ma rappresenta l'italianità nel mondo, non solo per i 20 milioni di esemplari prodotti, ma anche per la sua massiccia presenza nelle pellicole cinematografiche, a partire dagli anni della Dolce Vita, dove a guidarla, in 'Vacanze romane', erano nientemeno che Gregory Peck e Audrey Hepburn. "Un oggetto di culto, protagonista del cinema nazionale e internazionale", come Pier Marco De Santi - critico cinematografico e curatore della mostra - definisce "quello che è stato il fiore all'occhiello della motorizzazione a due ruote dei lavoratori italiani e della classe operaia del dopoguerra, dell'Italia del boom economico, dei grandi mutamenti sociali degli anni Sessanta e Settanta, del jet-set degli anni Ottanta, del mondo giovanile dei Novanta e di questa prima decade del Duemila, continua a vivere ancora oggi sugli schermi la sua modernità, la sua attenzione, la sua attualità, il suo fascino".

La Vespa, dunque, come simbolo trasversale, dalla vita reale al cinema, dal mondo operaio ai divi di Hollywood. Sempre De Santi ricorda, nella prefazione al libro, il "serpentone" di scooter che si snodava dal suo paese toscano, Ponsacco, a Pontedera, sede degli stabilimenti Piaggio. Tutti operai che andavano a produrre il 'due ruote' e che viaggiavano in Vespa sia col freddo che col caldo, d'inverno come d'estate: "più che a lavorare - ricorda - mi sembrava che andassero a una scampagnata. Così li vedevano i miei occhi di bambino. Nei primi anni Cinquanta, negli anni della ricostruzione e della speranza, dopo la catastrofe della guerra, il cinema italiano - e, con esso, tutte le maggiori riviste dell'epoca - pubblicizzano la Vespa non soltanto facendo leva sulle caratteristiche innovative del design, della meccanica e delle sue specifiche doti ingegneristiche e di sicurezza, ma anche - e, oserei dire, soprattutto indicando nella Vespa una 'compagna ideale' per gli svaghi all'aria aperta e un simbolo di spensieratezza e di gioia del nuovo corso dell'Italia in crescita". Dai ricordi personali alla storia della Vespa nel cinema, De Santi passa a parlare delle parti 'interpretate' dal veicolo Piaggio: "Dagli inizi degli anni Cinquanta fino a oggi, sono oltre trecento i film nei quali compare l'immagine-simbolo della Vespa, sia in fugaci passaggi di pochi secondi, sia come semplice 'cammeo' a impreziosire come 'oggetto' industriale il fondale di una qualche 'messa in quadro' all'aperto, sia come essenziale sottolineatura di ambientazione e di contestualizzazione storico-sociale".
Fin dal suo esordio sul mercato, "la Vespa - continua De Santi - appare sugli schermi come status-symbol di una società operaia e piccolo borghese che si appresta a superare brillantemente le angosce dell'immediato dopoguerra e si avvia verso la rinnovata qualità della vita del boom economico". "Il gioioso oggetto del desiderio dell'italiano medio - continua il critico cinematografico - viene valorizzato in primis da Luciano Emmer nel film 'Domenica d'agosto' (1950). Qui, la Vespa, nella felicità collettiva di una gita fuori porta, conduce verso il mare di Ostia l'Italia del lavoro, delle persone semplici, della famiglia. E l'immagine della Vespa si associa immediatamente a quella solare della serenità. Nel cinema italiano degli anni Cinquanta è l'Italia della gente onesta, dei giovani, dei 'poveri ma belli', dei 'padri e figli', di Guareschi, di Don Camillo e di Peppone, quell'Italia ingenua e semplice di 'Pane, amore e fantasia' a inforcare le due ruote della Vespa: un mezzo che non tollera la guida né di malavitosi né di persone infide e di malaffare". De Santi cita poi ' Vacanze romane' (1953), la favola di Gregory Peck e Audrey Hepburn e la sequenza della passeggiata spensierata per le vie di Roma. Con questo film, "la Vespa diventa status-symbl per tutti (e per tutti i ceti sociali) - dichiara De Santi - e il sodalizio tra la Vespa e il Cinema e tra il Cinema e la Vespa si salda in una produzione di film che non ha mai avuto momenti di 'stanca', né fasi di crisi. In sessant'anni, non c'è praticamente attore o attrice che non sia salito sulla Vespa, non c'è genere di film nel quale la Vespa non abbia fatto 'capolino' e, tante volte, non ne sia stata 'personaggio': si pensi, tanto per citare qualche titolo, a 'Caro Diario' (1993) di Nanni Moretti, ad 'Alfie (2004) di Charles Shyer, a 'The Interpreter' (2005) di Sydney Pollack, ad 'Absolute Beginners', a 'Dominique', a 'Esami di guida', a 'Gli amanti devono imparare', a 'Il cielo in una stanza', a 'Nuovo Cinema Paradiso'". (Adnkronos)